Ovvero gli strumenti per svelare le fandonie che i media, i politicanti e a ruota il telefono senza fili dell’uomo della strada raccontano sulla crisi. Il debito pubblico non c’entra nulla o quasi. E’ la parola d’ordine che serve per innescare il senso di colpa nei cittadini e avviare dismissioni di beni e servizi pubblici senza che si inneschi il meccanismo del malcontento popolare. Perché la punizione venga accettata di buon occhio è necessario che il penitente si senta colpevole e desideri espiare.
Buona lettura
Fonte: http://www.byoblu.com/post/2013/01/28/Quello-che-sta-per-succedere-e-perche.aspx
di Fabrizio Tringali
Dopo un 2012 turbolento, il nuovo anno è iniziato in un clima economico di relativa tranquillità. Gli spread sono bassi e la crisi sembra concedere una tregua. Ma cosa ci aspetta nel prossimo futuro? Le difficoltà sono davvero superate o sono destinate a riproporsi? Poiché esistono due opposte chiavi di lettura della crisi, per rispondere a queste domande è necessario capire quale sia la più convincente. Vediamole:
Chiave di lettura 1: Crisi dei debiti sovrani.
Secondo questa chiave di lettura, alcuni Paesi europei hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità. Hanno aumentato il loro debito pubblico senza migliorare la competitività, rischiando il default. L’aumento degli spread indica che i mercati sono restii ad investire in titoli di Paesi spendaccioni e già molto indebitati.
La soluzione della crisi consisterebbe dunque nel rafforzare la disciplina di bilancio, imponendo un tetto al rapporto debito/PIL e implementando drastiche misure di austerity che diminuiscano la spesa. Per scoraggiare la speculazione, a livello europeo andrebbero inoltre introdotte forme di mutualizzazione dei debiti sovrani (acquisto di titoli da parte della BCE, emissione di Eurobonds) in modo che tutti i Paesi si impegnino a garantire, collegialmente, il pagamento degli interessi e il rimborso dei titoli in scadenza emessi dai singoli Stati. Tuttavia, per evitare azzardi morali, i governi nazionali dovrebbero accettare di essere vincolati a realizzare le politiche indicate dagli organismi europei, indipendentemente dalla volontà dei loro cittadini.
Chiave di lettura 2: Crisi dell’euro.
Secondo questa chiave di lettura, invece, alcuni Paesi europei avrebbero sfruttato l’appartenenza alla moneta unica per aumentare la loro competitività, a discapito di altri. Contenendo salari e domanda interna, avrebbero mantenuto la propria inflazione sistematicamente a livelli inferiori rispetto ai partners. I quali, condividendo la stessa moneta, non avrebbero potuto operare una svalutazione difensiva per determinare un riequilibrio. I primi avrebbero accumulato surplus commerciali, mentre i secondi avrebbero visto peggiorare i conti con l’estero, fino ad entrare in crisi.
L’aumento degli spread indicherebbe che i mercati sanno che in futuro il valore dei titoli dei Paesi in crisi potrebbe diminuire: essi potrebbero uscire dall’euro, svalutare, rinegoziare il debito o rinominarlo nella nuova valuta.
Per uscire dalla crisi servirebbe dunque introdurre un meccanismo automatico di riequilibrio fra i Paesi in surplus strutturale e quelli in deficit. Inoltre, data la recessione in atto, le politiche di austerity andrebbero smantellate e sostituite con interventi di segno opposto, a sostegno della domanda e dell’occupazione. Nei Paesi in surplus andrebbero poi alzati significativamente i salari.
Tuttavia, apparendo questa strada impercorribile, poiché presupporrebbe che tutti i principali Paesi europei invertano le politiche economiche adottate fino ad oggi, e che quelli più forti accettino trasferimenti automatici verso quelli meno competitivi, l’unica via di salvezza resterebbe l’uscita dall’euro e il recupero della sovranità nazionale in materia di politiche economiche e monetarie.
Quale è quella corretta?
Chiaramente, queste tesi sono fra loro inconciliabili. Se si accetta l’idea che ad andare in sofferenza siano stati quei Paesi che presentavano un alto rapporto debito/PIL, allora la prima spiegazione appare come quella corretta. Invece, se si crede che la crisi abbia colpito chi ha avuto un tasso di inflazione più alto, converrà orientarsi sulla seconda.
Ecco una breve tabella riassuntiva:
debito pub / PIL (%) |
Squilibri esterni e differenziali di costo nell’eurozona | |||||
Paese | 1999 | 2007 | 2011 | Saldo conto corrente / PIL (* 100) 1999-2012 |
Costo unitario del lavoro var % 1999-2010 |
Indice prezzi al consumo 1999-2012 |
Germania |
61 |
65 |
83 |
52.0 | 1.4 | 21.8 |
Portogallo |
50 |
68 |
106 |
-132.2 | 11.1 | 35.1 |
Italia |
114 |
104 |
121 |
-24.4 | 28.5 | 30.9 |
Grecia |
103 |
105 |
166 |
-123.2 | 54.9 | 43.1 |
Spagna |
62 |
36 |
67 |
-75.5 | 24.8 | 38.4 |
Le prime colonne mostrano che la prima chiave di lettura è infondata: due dei Paesi più colpiti dalla crisi, il Portogallo e la Spagna, fino al 2007 presentavano un rapporto debito/PIL simile o addirittura migliore rispetto a quello della “virtuosa” Germania. La parte destra della tabella conferma quel che abbiamo già avuto modo di affermare: il problema non è il debito pubblico. La Germania ha beneficiato di una minore inflazione (ultima colonna) grazie al contenimento del costo del lavoro (penultima colonna) ed oggi vanta il “record” del maggior numero percentuale di lavoratori a basso reddito di tutta l’Europa occidentale (il 22.2%, secondo Eurostat). In questo modo ha aumentato la propria competitività, a discapito dei partners europei (terzultima colonna) mandandoli in crisi.
Dunque, i dati indicano che la tesi corretta è la seconda, la quale infatti è sostenuta da numerosi esperti nazionali ed internazionali. Tuttavia la quasi totalità dei media sposa la prima chiave di lettura, l’unica ad essere ufficialmente accettata da tutte le élite di governo europee, di destra come di sinistra. Questo non deve stupire: sia ai governanti dei Paesi forti che a quelli degli Stati in crisi conviene far credere che il problema principale siano la spesa dello Stato e il debito pubblico. In questo modo, infatti, i primi possono proseguire il contenimento della domanda interna, arricchendosi grazie alle esportazioni e garantendosi surplus utili ad acquisire aziende pregiate dei Paesi in crisi (come testimonia, per esempio, la recente acquisizione di Ducati da parte di Audi-Volkswagen). I secondi (gli stati in crisi) ottengono di poter sbandierare un “vincolo esterno” grazie al quale imporre ai cittadini quello che altrimenti sarebbe stato impossibile realizzare: tagli ai servizi pubblici e alle pensioni, restringimento delle tutele dei lavoratori, privatizzazioni, continue manovre finanziarie “lacrime e sangue”.
Così, mentre smantellano lo stato sociale, i governi di Italia, Francia e Germania danno vita ad un insulso gioco delle parti: quando Monti e Hollande spingono per introdurre forme di condivisione dei debiti sovrani, la Merkel risponde pretendendo cessioni di sovranità verso le istituzioni UE. Due facce della stessa medaglia, entrambe riconducibili alla chiave di lettura 1. Quella sbagliata.
In seno al Consiglio Europeo è stata già siglato l’accordo che consentirà a ciascun leader di cantare vittoria nella propria patria: da Giugno 2013 la Commissione UE potrà far sottoscrivere ad ogni Stato un vero e proprio contratto, ove indicherà le “riforme” da attuare e le modalità con cui realizzarle; eventuali “meccanismi di solidarietà” saranno riservati ai Paesi che avranno sottoscritto tali intese.
Ecco quindi il leitmotiv che ascolteremo nel 2013: “solidarietà” in cambio di cessioni di sovranità. Lo conferma il presidente del consiglio europeo, Van Rompuy, che però omette di precisare che la solidarietà sarà fasulla: le eventuali forme di mutualizzazione dei debiti saranno parziali e temporanee, come ha già chiarito Angela Merkel, intervenendo al Bundestag. E in ogni caso esse non potranno mai risolvere gli squilibri strutturali fra le economie.
Pertanto c’è da aspettarsi che la crisi riesploda. Anche perché dal primo gennaio 2013 è entrato in vigore il fiscal compact, che statuisce, tra le altre cose, che il rapporto debito/PIL deve assestarsi al 60%. L’Italia, per tentare di raggiungere l’obiettivo, dovrà varare manovre su manovre, ogni anno, per decine e decine di miliardi. In assenza di una crescita sostenuta, le conseguenze saranno inimmaginabili, come testimoniano le analisi della Corte dei Conti e l’ISPI. L’Italia e gli altri PIGS resteranno intrappolati in una spirale recessiva, senza via di uscita. Ma gli alfieri della chiave di lettura sbagliata non si fermeranno. Anzi, rincareranno la dose. Quelli italiani hanno già nel mirino la privatizzazione della sanità, che non a caso si sta già realizzando in Spagna.
Uno dopo l’altro i Paesi dell’eurozona dovranno richiedere gli “aiuti” del MES e, in cambio, dovranno cedere ogni residua forma di sovranità nazionale. Così, le decisioni verranno prese direttamente a Bruxelles e Francoforte, senza che né i cittadini né i Parlamenti nazionali possano opporvi resistenza. Ma ciò che è più drammatico è che alla gran parte dell’opinione pubblica, tutto ciò apparirà come necessario, in quanto coerente con la teoria della crisi dei debiti sovrani, propagandata dalla stragrande maggioranza dei media.
Per questo, il primo fronte sul quale schierare le forze che vogliono impedire lo sfacelo è quello dell’informazione. Un’informazione corretta sulle reali cause della crisi.
30 gennaio 2013 at 22:21
Nell’analisi aggiungerei il terremoto che scuote il mondo dell’energia da almeno un decennio. I soldi son finiti quand’è finita la nafta….
31 gennaio 2013 at 08:48
Che intendi con “i soldi sono finiti quando è finita la nafta?”
31 gennaio 2013 at 17:11
Intendo che stiamo pagando una bolletta energetica che pesa per più del 4% del prodotto lordo italiano. Questo fenomeno ha causato una caduta del saldo commerciale con l’estero: in pratica già dal 2005 ci copriamo di debiti per pagarci i combustibili.
Con questa strategia andiamo comunque in bancarotta: quale che sia la valuta utilizzata per i pagamenti.
1 febbraio 2013 at 10:22
D’accordo … non però se avendo una moneta sovrana e la possibilità di operare svalutazioni competitive riusciamo a rilanciare l’economia … anche semplicemente nei termini del neoliberismo PIL-dipendente. Certo è che all’interno della trappola dell’euro siamo morti 🙂
1 febbraio 2013 at 11:33
Ne siamo davvero certi? Negli anni ’70 abbiamo svalutato la lira fino alla nullità, fuso il debito e sparso soldi in casa di tutti. Eppure non funzionò affatto: la soluzione è arrivata solo con la diminuzione delle quotazioni dei combustibili. In mancanza di quel fortunoso evento avremmo fatto una brutta fine.
La sovranità monetaria è importante (potrebbe essere facilmente sostituita da una fiscalità più furba, ma pazienza); resta il fatto che se vuoi comprare le risorse degli altri le devi pagare con la loro moneta. Quando fai questo genere di acquisti, svalutare la tua moneta non è d’aiuto. Alla fine se vuoi il greggio devi pur sempre pagarlo gli stessi identici dollari (o rubli) di prima…..
1 febbraio 2013 at 11:38
Sì ma se di dollari (o rubli) ne hai di più ….
Secondo me è l’andamento dell’economia la vera variabile da cui dipendono le altre. E non mi sembra che le ricette adottate negli anni dell’euro siano state efficaci. Anzi, direi che tutti gli indicatori sono finiti ben al di sotto delle medie degli anni precedenti.
5 febbraio 2013 at 11:18
http://documentazione.altervista.org/ae_fitoussi_europa_tragedia_greca.htm in questa inervista un non-euroscettico come Fitoussi diceva la stessa cosa sulle politice deflazionistiche e non coperative della Germania … ed era il 2007 … il cuore della crisi era ben lì da venire …