Via dall’Italia

Io ci sono andato. E ho trovato un lavoro che qui non c’era. Era il 1999 e in quegli anni era una scelta giusta se non avevi conoscenze o calci in culo. Se non eri un ingegnere o il figlio di un parlamentare.

Oggi, leggendo un articolo su Libero la situazione sembrerebbe essere cambiata. A leggerla sembra la lettera accorata di un genitore che c’è passato. La figlia in partenza per l’Inghilterra. La preoccupazione. L’accettazione dell’inevitabile. La riflessione di un padre che riflette sulle scelte e le opportunità della figlia. Ovviamente, visto il quotidiano, si tratta di un espediente retorico. A maggior ragione se a firmarlo è un dei caporedattori.

I dati però sono abbastanza accurati. E se si stralcia la retorica un po’ nazional popolare, le cifre raccontano di un’Europa che diventa sempre più povera. Della disoccupazione in aumento anche nelle vecchie roccaforti del lavoro sicuro. Dell’assottigliarsi inesorabile del benessere europeo. Sempre più argomento effimero di operazioni di make-up comunicativo stese come un velo a coprire cadaveri. La conclusione del finto padre è “Cari ragazzi è più conveniente rimanere in Italia”. La qual cosa rende lo scenario ancora più inquietante

Di Mattias Maniero

Innanzitutto i dati: secondo il VI Rapporto della Fondazione Migrantes, quattro giovani italiani su dieci considerano una sfortuna essere nati in Italia.
Il loro sogno è trasferirsi subito all’estero, in Francia (16,5 per cento), nel Nuovo Mondo (16,1), in Inghilterra (11,9), in Germania (10,1).
Un giovane su sei si accontenterebbe persino della Spagna degli “indignados”.
Tutto tranne che convivere con le difficoltà italiane, il nostro scarso senso civico, la corruzione e la crisi economica.
Consiglio di un padre ai giovani italiani: restate a casa.
Ieri avete cominciato l’esame di maturità.
Fra poco, dovrete scegliere una facoltà universitaria.
Non andate all’estero.
Non conviene Non seguite una moda che non funziona più.
Devo andare sul personale.
Due anni fa, inizio estate.
Eravamo in cucina, tradizionale luogo di incontri familiari.
La tazzina di caffè quasi mi cadde di mano.
La comunicazione di mia figlia fu secca, brutale: «Andrò in Inghilterra, mi hanno accettato all’uni – versità».
Sapevo già tutto, ovviamente.
Non sapevo che l’avevano accettata.
Forse mi rifiutavo di saperlo.
Figlia unica, capirete.
Ma quello era un altro mondo.
Moody’s non straparlava.
Standard & Poor’s se ne stava buona.
I debiti degli Stati sovrani erano alti e non facevano paura.
Due anni e il mondo si è capovolto.
Oggi studiare in Inghilterra costa anche novemila sterline all’an – no, di sole tasse universitarie, il triplo rispetto a due anni fa.
Al cambio attuale, grosso modo diecimila euro.
Gli studenti hanno protestato.
Il governo è stato irremovibile: dovete pagare, e anche tanto, perché lo Stato non ha più soldi.
Oggi, in Gran Bretagna, il tasso di disoccupazione si è attestato al 7,9%.
La disoccupazione tra i giovani (16-24 anni) ha raggiunto il livello record del 20,5 per cento.
Qualche mese fa, il Guardian ha pubblicato una lettera aperta di una madre al figlio.
Scriveva Lisa Freedman, consulente di una società di formazione giovanile: caro Nat, ma sei proprio sicuro di voler fare l’università qui in Inghilterra? Ti conviene? Non sarebbe più giusto andare all’estero? E i nostri giovani sognano l’Inghil – terra.
E pure la Spagna, con una disoccupazione tra i minori di 25 anni che supera il 40 per cento, 25 per cento nella fascia compresa fra i 25-29 anni, la Spagna dei Pigs, più di 4 milioni e mezzo di persone senza lavoro.
O la Grecia, con il default dietro l’angolo.
O la Francia, con la disoccupazione giovanile che dal 2009 al 2010 è aumentata del 27 per cento.v Cari giovani, voi che state per prendere la decisione della vostra vita:nonfate errori.
Ilmondonon è più quello di anni fa, è sul serio cambiato,ecerte scelte di ieri oggi non sono più valide.
C’è un indice che misura la soddisfazione della vita.
Lo ha calcolato il Legatum Institute, centro studi londinese, basandosi su dati della Gallup World Poll.
Vi sembrerà strano, ma l’Ita – lia non è poi messa tanto male.
Meglio di noi sta il Turkmenistan, ma voi ci andreste a lavorare in Turkmenistan? Può essere questo il vostro sogno? La Spagna sta peggio di noi, la Francia anche, il Giappone pure.
Cari studenti, diciottenni, giovani sognatori, vi sentite sfortunati ad essere nati in Italia? E allora andate a vedere ciò che sta succedendo in tanti Paesi anche a noi vicini.
Non c’è bisogno di andare nel cuore dell’Africa, povertà millenarie e infinite arretratezze, per rinfrancarsi e cambiare idea.
Lasciate stare la Nigeria e il Congo.
Nella Germania locomotiva d’Eu – ropa, almeno diciottomila studenti se ne sono andati via dal Paese.
Hanno scelto l’Austria per aggirare il numero chiuso delle loro università e per ottenere tasse meno pesanti.
All’Università di Magdeburg, un gruppo di giovani ha posatonudo peri fotografi realizzando un calendario di protesta contro le tasse.
In Inghilterra, gli studenti che protestavano hanno addirittura assaltato l’auto del principe Carlo e consorte, dopo aver messo Londra a ferro e fuoco.
A Zurigo altre proteste.
Cari giovani, volete ancora andarvene, siete sempre in cerca di un Eldorado che non esiste? Non ce la fate proprio a stare qui? Spiacente, in giro non c’è molto di meglio.
Vi conviene restare e darvida fare.
Anche perché il vero problema italiano non è la fuga dei cervelli, la fuga di chi studia qui e poi se ne va all’estero portando prestigio al nostro Paese, facendo sventolare il Tricolore negli Stati Uniti o altrove.
E’ la vostra fuga, quella dei diciottenni e ventenni che scelgono l’estero e fanno mancare, qui in Italia, la voce necessaria per cambiare le cose.
E tu, cara figlia mia, stannepurcerta: dueanni fa la tazzina di caffè quasi mi cadde di mano.
«Vado a Bristol.
– midicesti – È una buona università, non costa troppo, e poi ci sono anche i voli diretti con l’Italia.
Un paio di ore di aereo e sto qui».Forse neppure te ne accorgesti: la tazzina tremò pericolosamente e il caffè rimase lì.
Improvvisamente mi passò la voglia di berlo.
Poi, fatti i conti e viste le prospettive, mi sembrò una scelta abbastanza giusta.
Abbastanza.
I giovani hanno il diritto di sognare e di costruirsi la vita che ritengono più opportuna, e in Italia difficoltà e ostilità non sono mai mancate.
Oggi, cara mia, no.
Oggi quella tazzina te la darei in testa e ti direi di stare qui e di lottare.
Ha scritto sul Guardian Lisa Freedman, la madre che consigliava al figlio di non studiare in Inghilterra e di andarsene altrove, chissà forse anche in Italia: caro Nat, dubito che seguirai i miei consigli.
Darai ascolto ai tuoiamici.
Spero comunque che un giorno non tornerai da me e mi dirai: sai, mamma, avevi ragione, avrei fatto meglio a mettermi gli stivali di gomma.
«My Wellington boots», scrive la Freedman.
Stivali che vanno bene quando si finisce in un mare di guai.
O di altre cose“.

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